MORRA

Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente necessario

Liberamente ispirato alla cronaca di Scampia e Secondigliano

Premio Borsellino 2008 per l’impegno sociale e civile

Il 18 ottobre 2008 MORRA ha ricevuto il premio per l’impegno sociale e civile come “spettacolo teatrale” dell’anno. Premio che nel 2007 è stato ritirato da DARIO FO nel 2006 da FRANCA RAME e nel 2005 da BEPPE GRILLO. Il 14 ottobre presso la Camera dei Deputati si è svolta la conferenza stampa di presentazione della XIII edizione del Premio Nazionale “Paolo Borsellino: 10 giorni per la legalità” presieduta dal Presidente del premio on. Luciano Violante. 

Premio Calandra 2007 come miglior spettacolo e miglior regia
Spettacolo italiano XI Festival internazionale della Turchia

Morra è uno spettacolo che senza aver nulla a che fare con la rosa di storie composte da Saviano, affronta il problema della camorra attraverso la Commedia dell’Arte. Non dunque una semplificazione della forma letteraria, ma il rilancio in una struttura ancora più complessa, quella della maschera, ossia dello strumento fondante del teatro e dell’archetipo tragico.

Gian Maria Tosatti – Differenza.org

Questo monologo nasce anche grazie al contributo di numerose prove aperte con il pubblico, vere e proprie improvvisazioni che si sono poi strutturate e definite nel corso delle repliche, divenendo infine parole scritte. Una parte però rimane ancora affidata alla capacità di Pulcinella di giocare con il pubblico e di stabilire con esso un dialogo reale, dotato di respiro vitale, in cui l’imprevisto possa fare la sua parte.

Il titolo della messinscena si riferisce all’antico gioco d’azzardo della “morra” praticato per strada, molto diffuso in tutta Italia, non solo al sud. La violenza gestuale e verbale del gioco era spesso causa di malintesi ed equivoci con risvolti drammatici per i giocatori. Tra le varie derivazioni del termine “camorra” ce n’è una che risale proprio al pizzo preteso per proteggere le bische del gioco d’azzardo della morra.

Sia la morra che Pulcinella hanno una doppia matrice quindi: il gioco e la morte, natura antitetica che contraddistingue da sempre l’animo partenopeo. Pulcinella però è l’unico portavoce di Napoli che può permettersi di giocare con la morte e sopravviverle.

La grande tradizione della Commedia dell’Arte viene rivisitata da un contemporaneo Pulcinella che si ritrova a monologare con il pubblico “di quei tre o quattro fatti che conosce”. Fatti che tutti in fondo conosciamo, “perché le voci girano, perché l’abbiamo letto sui giornali”. I fatti sono quelli della cronaca legata alle vicende camorristiche degli ultimi anni. In particolare uno: la storia di Ernesto (in vita Attilio Romano’), giovane lavoratore di Scampìa, il quartiere dormitorio delle vele di Napoli, “ucciso per mano della camorra, ma che con la camorra non c’aveva niente a che fare”. 

Il contenuto dell’atto unico è tragico per i fatti reali citati: migliaia di morti ammazzati dal 1979 a oggi in una guerra non riconosciuta e tuttavia palese. Ma è anche comico perché nell’interpretazione teatrale l’attore, pienamente immerso nella sua parte di “maschera”, il pauroso ma chiacchierone Pulcinella, fra salti, giochi di parole e coinvolgimenti dialettici, diverte, seppur amaramente: con l’ausilio delle tante maschere che via via calza si trasforma di volta in volta nei guappi, nelle vittime, nei latitanti, nei boss. Personaggi che hanno nomi e cognomi: Ernesto e sua moglie Natalia, da una parte, i membri della famiglia Di Lauro, gli scissionisti, Raffaele Cutolo, dall’altra. 

In scena solo una batteria, a scandire la vita e la musica delle parole, e tre valigie, anch’esse in continua metamorfosi a rappresentare quartieri, nascondigli, capezzali, e le famose Vele di Scampìa… 

di e con
Roberto Capaldo
regia
Roberto Capaldo
Fabrizio Di Stante


ritmi dal vivo di
Simone Di Bartolomeo
maschere in cuoio di 
Ascanio Celestini
Piero Ottusi

coprodotto da
Teatro Labrys 

Estratti dello spettacolo Morra. Debutto al Teatro Ugo Betti di Roma. 2007
RASSEGNA STAMPA
Motivazione Premio Nazionale Borsellino 2008 per l’impegno sociale e civile 

Per aver messo in scena con originalità uno spettacolo in grado di colpire la sensibilità sociale e collettiva, usando un linguaggio semplice e scanzonato, come solo Pulcinella potrebbe fare. Un alto esempio di teatro civile che, partendo da un tragico fatto di cronaca, mette il pubblico davanti a profonde riflessioni sul nostro Paese e sulla malavita, presentandola alla stregua di una sanguinosa e interminabile guerra civile.

Nico Garrone – La Repubblica

“La rabbia documentata e lucida di Saviano si trasforma, anche per la bravura di Capaldo diretto da Fabrizio Di Stante, in viscerale sghignazzo, tammurriata nera”.   

Livia Grossi – Corriere della sera

La mafia e le sue stragi raccontate da un moderno Pulcinella che si è stancato di sentirsi dire che la camorra è un problema che riguarda solo Napoli.

Roberto Capaldo propone «Morra», atto unico da lui stesso scritto e interpretato. Lo spettacolo, porta sulla scena la tragica storia di Ernesto, giovane lavoratore di Scampia (il quartiere dormitorio delle vele di Napoli), «ucciso per mano della camorra, ma che con la camorra non aveva niente a che fare». Per realizzare il suo spettacolo Capaldo si è servito di vari articoli di cronaca che dal ‘ 79 ad oggi documentano le migliaia di morti ammazzati dalla mafia nelle sue varie declinazioni; a questo ha aggiunto una serie di personaggi inventati, ispirati dalle opere dei maggiori poeti napoletani del ‘ 900, da Michele Galdieri a Eduardo De Filippo. «Il risultato», dice ancora l’ autore, «è il ritratto di una Napoli vera che pur denunciando con nomi e cognomi gli assassini, non dimentica le responsabilità politiche nazionali e internazionali di chi ha trasformato Napoli in un tragico carnaio». Uno spettacolo crudo e beffardo (recitato in un napoletano super comprensibile) che dopo Roma cercherà di raggiungere il nostro Sud. 

Diego Vincenti – Hystrio

“[…] Capaldo non fa mai calare l’attenzione, teso sul racconto in maniera fisica ma non carnale, quasi etereo in certe movenze.” 

Lazzaro Pappagallo – TG Lazio

“A far quasi tutto è Pulcinella, un ottimo Roberto Capaldo, maschera eterna di Napoli  pronta con l’aiuto di altre maschere e un paio di valigie a dar voce e talora corpo alla storia più nera. Pulcinella pensa e parla di Napoli, ma racconta anche il nostro paese, il rapporto irrisolto  tra vita e morte, modernità e tradizione, centro e periferia”.   

Simone Nebbia –  TeatroTeatro.it

”[…] questa improvvisata guida turistica ci introduce la Napoli nascosta, la città colpevolmente dimenticata, inscenando un dialogo senza barriere con il pubblico, battente al ritmo di percussioni e serrato, veloce nella musicalità di una lingua – quella partenopea – che è poesia, modulata perfettamente nelle cellule narrative. […] Capaldo nei panni di Pulcinella si muove con maestria e ne sente la voce di tradizione antica, si fa interprete di quell’anima che è sua come il dolore che le appartiene. […]

Un testo necessario […] vitale […] coraggioso, affidato all’inappuntabile autorità del suo antico narratore, che denuncia i criminali e si fa beffa del potere, perché il teatro si faccia messo di informazione e protesta […] facendo della cronaca poesia, e poi si ride, ma si ride amaramente…”. 

Daniela Pandolfi – Dramma.it 

“Costruire uno spettacolo apparentemente semplice, ma capace di avvincere e suscitare tante riflessioni, è esattamente la pratica misteriosa che il Teatro esige da circa 2500 anni. Questo “Morra” è un’operazione così intelligente da sbalordire. Teatro puro […] non c’è dubbio che sia l’ultimo Pulcinella scaturito dalla contemporaneità, la creatura amara e irriverente che si muove sotto i nostri occhi […] l’attore è entrato così bene nella parte, forte di una esperienza sui moduli della Commedia dell’Arte acquisiti in profondità, che ci si dimentica di avere a che fare con un personaggio antico”.

Francesco Di Brigida – Teatranti.com

“Spettacolo inusuale, toccante, dirompente. […] Il bianco menestrello usa la sua verve nell’accompagnarci tra i grigi quartieroni della periferia napoletana e ci proietta a modo suo in un mondo che non sembra il suo per tradizione. […] Invece ci prende per mano e lì ci conduce. Ed è questo viaggio dirompente nella tragedia di un luogo attraverso il linguaggio da commediante del suo più illustre personaggio che dobbiamo a Capaldo. Un viaggio fatto di stupore per l’accostamento ardito degli elementi e la riuscita indubbia nel progetto”.   

Gian Maria Tosatti – Differenza.org

La storia ultimamente s’è sentita raccontare mille volte. E pare che la camorra in Italia sia uscita fuori tutta quest’anno. E per certi versi è vero. E forse merito va a Saviano che una volta tanto ha puntato l’obiettivo su un mondo di cui, prima di Gomorra, si conosceva bene solo il nome. L’unica cosa che c’è da sperare a questo punto è che non si abbia a soffrire l’effetto domino che s’innesca regolarmente in Italia quando un argomento tira.

Insomma che passi di moda la mafia e che si comincino a fare fiction sulla camorra. Abbiamo retto La piovra, non reggeremo sicuramente ‘O purpo. Ma più di tutto questo è vero perché a forza di parlarne, di renderlo alla portata di tutti, di farne il libro e poi il film del libro e poi la fiction del film e poi la puntata da Vespa sulla fiction, un argomento si semplifica fino a diventare un omogeneizzato (ossia una pappetta omogenea a tutto il resto, che si confonde con Cucuzza, con Bim Bum Bam e con I fatti vostri) […] Ma in tutta questa sovreccitazione camorristica una cosa c’è che si distingue. E forse il merito è quello di aver percorso all’inverso l’iter di semplificazione ormai divenuto imprescindibile per venire incontro all’italiano che si pretende mentecatto.

Morra è uno spettacolo che senza aver nulla a che fare con la rosa di storie composte da Saviano, affronta il problema della camorra attraverso la Commedia dell’Arte. Non dunque una semplificazione della forma letteraria, ma il rilancio in una struttura ancora più complessa, quella della maschera, ossia dello strumento fondante del teatro e dell’archetipo tragico.

Sul palcoscenico fa la sua comparsa una volta di più, con addosso tutta la stanchezza dei secoli e la saggezza, Pulcinella. Si presenta in modo brillante, ma è chiaro che sta fingendo, che sta facendo finta di niente, sta cercando di passare sopra a quell’imbarazzo iniziale che si prova quando qualcuno torna dopo così tanto tempo che ormai sembra uno straniero. Pulcinella scherza, sorride, il suo compito, il suo mestiere, è da sempre quello di ridurre la distanza fra sé e il pubblico. E allora comincia a raccontare e la sua maschera cava, nera, si rivela un abisso infinitamente più profondo di quanto non lo siano altre maschere, quelle dei giovani mafiosi, del sarto che lavora coi cinesi, dell’impresario della monnezza già pluri-raccontate. Nella sua espressione immobile c’è tutta la tremula complessità dell’immagine allo specchio, dell’occhio controverso del testimone.

Tra il pubblico molta gente ride, qualcuno anche sguaiatamente. Dalle ristate del pubblico si riconosce addirittura chi vede le fiction e chi non le vede. Sono risate diverse. Risate di testimoni diversi. Per qualcuno la storiella raccontata dal narratore ante litteram è un aneddoto arricchito da infiniti lazzi. Per altri la questione è seria e provocatoria e anche i lazzi arrivano per allontanare la mannaia un secondo prima che la domanda si formuli completamente e dica: «Quanto credi che tutto questo sia lontano da te?», «Quanto credi che sia di fantasia il “villaggio dei puffi”(è il nome reale di uno dei quartieri periferici di Napoli)?», «Quanti chilometri di distanza ci sono tra le case popolari della città giardino di Garbatella e quelle delle vele di Scampia?». Pulcinella dice che c’è arrivato a piedi fino al palcoscenico su cui ora salta e balla. Ci ha messo dieci ore. A piedi.

Giorgio Ventricelli – Teatro.org

Una standing ovation ha chiuso il quarto appuntamento del Festival NUDI – Nuove Drammaturgie Indipendenti. Tutti in piedi ad applaudire la performance del Pulcinella Roberto Capaldo, che ha portato in scena il pluripremiato “Morra”. La rappresentazione è stata insignita del Premio Borsellino 2008 per l’impegno sociale e civile come spettacolo teatrale dell’anno, riconoscimento già attribuito a: Dario Fo (2007), Franca Rame (2006), Beppe Grillo (2005). Ancora. Premio Calandra 2007, come miglior spettacolo e regia, e spettacolo italiano all’XI International Turkey Theatre Festival.

Morra racconta la Camorra e quella guerra silenziosa che, da anni, ha fatto migliaia di vittime, spesso innocenti, colpevoli solo di vivere in luoghi dove la speranza non ha mai messo piede. Un Pulcinella contemporaneo, in modo dissacrante e ironico, racconta la storia di Ernesto, giovane lavoratore di Scampìa, il quartiere degradato di Napoli, ucciso per mano della Camorra, ma che con essa non aveva niente a che fare. Ernesto è vittima di una guerra “non riconosciuta”, che sparge sangue al centro della civilissima Europa. Morra è il racconto dell’abitudine a giustificare tutto, anche la violenza, che accompagna, in modo poetico, l’animo di Napoli. Pulcinella parla di “quei tre o quattro fatti che conosce”, che noi tutti, in fondo, conosciamo, “perché le voci girano, perché l’abbiamo letto sui giornali”. Roberto Capaldo indossa la maschera di Pulcinella, e non è più lui in quanto tale, ma diviene l’istrionico interprete che Napoli da sempre elegge ad anima della città, simbolo egli stesso e testimone della decadenza civica di quella che era una delle corti reali più importanti dell’800. La messa in scena è un monologo serrato, con i tempi morti dei cambi di maschera colmati dal ritmo di una batteria, che scandisce la vita e la musica delle parole.

Pregevole la mimica di Capaldo, un artista completo, che con giochi di parole, espressioni, salti e coinvolgimenti dialettici ha entusiasmato il pubblico. Un teatro povero di scenografia ma ricco di simbolismo. Sul palco, tre valigie di cartone, di grandezze diverse, sono disposte in modo tale da ricordare alcuni quartieri di Napoli. Un Pulcinella marionetta, adagiato su un telo rosso ai piedi del bagaglio che personifica Scampìa, ricorda l’omicidio di Ernesto. Come a voler dire che c’è qualcuno che muove i fili della vita altrui, e ne decide le sorti. Capaldo ha raccontato una Napoli contemporanea, figlia di un’Italia complice dello spargimento del suo stesso sangue, attraverso gli occhi di un Pulcinella che vive nell’animo di ogni oppresso dalle mafie. In fin dei conti, ridere di qualcuno o di qualcosa, ha la stessa forza distruttrice di una mandria di cavalli al galoppo. Ridere delle mafie significa essere liberi e dimostrare che la violenza non è poi così forte, ma sbatte contro un muro di gomma e ricade al suolo impantanandosi nelle sabbie mobili della dignità.

Giuseppe Distefano – Estra

“[…] Capaldo è più che bravo nel costume bianco, nel dialogare con la sua stessa maschera tenuta a distanza, sdoppiato nelle marionetta di un altro Pulcinella, o, ancora, con gli occhiali scuri e un microfono in mano alle prese col boss Raffaele Cutolo […], l’attore di origine napoletana possiede e padroneggia tutti i mezzi della grande tradizione della Commedia dell’Arte, e la rivisita con sensibilità contemporanea […] Il grottesco “segreto” di Pulcinella, novella guida in un tragicomico viaggio nel ventre più nero della sua città, si conclude con una straordinaria sequenza in cui l’attore, posizionando la maschera sul capo, frontale al pubblico, impersona la morte con voce ghignante. E ne fa un oggetto drammaturgico di grande forza e verità”. 

Federico Toni – Tracce di Teatro d’Autore

“Questo Pulcinella contemporaneo, interpretato magistralmente da Roberto Capaldo, racconta dell’oggi e – trasformandosi di volta in volta nelle vittime, nei boss, nei latitanti – affronta fatti di cronaca legati alle vicende camorristiche degli ultimi anni. Lo spettacolo ci illustra una Napoli dove tutto appare insensato e logico allo stesso tempo, ma se è vero che le maschere devono far ridere il nostro Pulcinella lo fa benissimo, nonostante l’accostamento ardito su cui il progetto è costruito. Pulcinella sa instaurare con gli spettatori un rapporto di fiducia, simpatia e complicità utilizzando i suoi modi e anche testi-poesie della tradizione partenopea (Salvatore Di Giacomo, Pasquale Ruocco, Eduardo De Filippo). Un’occasione preziosa per conoscere un progetto del Teatro Labrys e per ammirare la maestria rara di Roberto Capaldo (allievo di grandi maestri della Commedia dell’Arte: Ferruccio Soleri, Roberto Gatto, Claudia Contin) un attore capace, veramente efficacemente, di dare corpo e anima a Pulcinella. 

Carlo Magistretti – Bolognateatro.it

Continua la grande tradizione della commedia dell’arte italiana anche nel XXI secolo con Roberto Capaldo, che dimostra in questo lavoro tre cose: la prima, quanto sia difficile interpretare una maschera (nel suo caso Pulcinella) con tutte le coloriture e le sfumature che sono necessarie per renderla non solo credibile (non una semplice macchietta da carnevale) ma renderla anche  “uno di noi”. La seconda: come sia possibile – dopo un attento lavoro di studio e approfondimenti – portare avanti la grande tradizione che ha reso il nostro teatro primo per secoli in importanza ed qualità, aggiornandola a oggi per linguaggi e tematiche. La terza, che uno spettacolo di commedia dell’arte funziona perfettamente anche nel 2010.

Capaldo è molto bravo, si vede che dietro al suo lavoro ci sono anni di studio su Pulcinella. Si vede non solo nella perfezione del movimento (a volte sembra di rivedere un dinoccolato Totò, a volte sembra davvero che ci siano dei fili che lo muovono come una marionetta) ma anche nella scrittura del testo, che di fatto segue le caratteristiche di quello che noi chiamiamo “teatro di narrazione” (che poi affonda le proprie radici nei cantastorie e nella commedia dell’arte, e il cerchio si chiude).

Due cose in particolare segnalo: interessante l’uso di accompagnamento musicale solo di batteria (cuore pulsante della musica) che può sembrare scarno, ma a ben vedere sottolinea meglio le tematiche e asciuga la musica dal rischio di diventare retorica e strappalacrime. L’altra cosa che mi ha colpito è come i “cattivi” siano in realtà gli unici che non indossano una maschera, e che sotto la quale sono davvero ridicoli, come a dire: se a quelli così carismatici da convincere gli altri a seguirli anche nel baratro della violenza e dell’illegalità togliessimo la maschera, troveremmo dei mediocri assetati solo di fama, senza la quale non esisterebbero. E gli altri? Cosa c’è sotto la maschera? Sotto quella di Pulcinella e di tutti i personaggi di Morra?  E sotto la nostra maschera cosa c’è? Gaber diceva: “ho il sospetto che non troveremmo niente”. 

Vania Brogi – PUNTOELINEA BLOG STORY

È un Pulcinella contemporaneo, quello interpretato da Roberto Capaldo in “Morra”, miglior spettacolo e miglior regia al Premio Nazionale Calandra 2007. Un Pulcinella che rivisita la grande tradizione della Commedia dell’Arte e colloquia con il pubblico “di quei tre o quattro fatti che conosce”. I fatti in questione sono quelli della cronaca legata alle vicende camorristiche degli ultimi anni, coraggiosamente portati all’attenzione dell’opinione pubblica da Roberto Saviano. E in particolare uno: la storia di Ernesto, giovane lavoratore di Scampìa, famoso quartiere dormitorio delle Vele di Napoli, “ucciso per mano della camorra, ma che con la camorra non c’aveva niente a che fare”.

Il monologo del timoroso ma chiacchierone Pulcinella è al tempo stesso tragico e comico. Tragico per la crudezza dei fatti citati, che raccontano di migliaia di morti ammazzati dal 1979 a oggi in una guerra non riconosciuta ma tuttavia palese. Comico perché la coinvolgente interpretazione di Roberto Capaldo è fatta di salti, lazzi e giochi di parole in un dialetto napoletano comprensibilissimo che diverte, seppur amaramente. Ad accompagnare i racconti di Pulcinella, le percussioni di una batteria e tre valige in continua metamorfosi che, a sorpresa, diventano caseggiati, nascondigli e le famose Vele di Scampìa.

Uno spettacolo crudo e di denuncia in cui “ogni riferimento a persone o fatti realmente esistiti è puramente necessario” e che, attraverso le tante maschere indossate da Pulcinella, racconta il paradosso di Napoli “Paese del sole” dove si continua a morire di fame e di pallottole.

Alberto De Simone – L’Adige

Si preannunciava una serata di particolare interesse quella in programma domenica sera al Maso Menestrina di Mezzocorona, un appuntamento a cui la rassegna Solstizio d’Estate teneva molto. 

I lunghi applausi del numeroso pubblico presente hanno sancito un successo tanto convincente quanto inaspettato. Perche’ il “Morra” proposto dal napoletano Roberto Capaldo parla di una realta’ geograficamente vicina ma socialmente lontanissima, quella Napoli carica di contraddizioni tanto estreme da risultare di difficile comprensione per chi non le vive quotidianamente. Ma l’ottima prestazione dell’artista partenopeo ha scongiurato ogni rischio, riuscendo invece a tramutare il limite in una risorsa da sfruttare. Non si sorprenda lo spettatore se gli e’ sembrato di camminare in punta di piedi tra le strade di Scampia, il dormitorio di Napoli o di essersi imbattuto nelle fatiscenti vele di Secondigliano. Capaldo ci ha portati tutti la’ e ci ha permesso di respirare quell’aria pesante a cui non siamo abituati. E lo ha fatto grazie all’arte tutta napoletana dell’ironia, del sarcasmo, indossando le vesti di un Pulcinella moderno, protagonista di un omertoso sfogo che tutto dice e tutto tace. Parla di camorra Capaldo, ma lo fa recitando poesie in rima, scherzando con il pubblico, cantando. Nella maniera piu’ scanzonata ma piu’ efficace possibile. 

Si ride certo, ma lo si fa a denti stretti.

Accompagnato dalle percussioni di Simone Di Bartolomeo, Capaldo e’ un assoluto catalizzatore dell’attenzione, un talento di cui sentiremo parlare in futuro. Tecnicamente ineccepibile, profondo conoscitore di quella Commedia dell’Arte che utilizza con ponderatezza, l’attore e’ riuscito a ricreare situazioni di profonda empatia e gravita’ senza risultare mai pesante. Tutto cio’ grazie anche ad una regia, quella di Fabrizio Di Stante, di assoluto spessore, capace di esaltare il testo e di accarezzarne le sfumature. Ottimi i giochi di luce, efficaci le scelte sul personaggio che sono riuscite, grazie alle bellissime maschere di Ascanio Celestini, a dare autenticita’ e forza al messaggio. 

Lo si sarebbe potuto ascoltare per ore Pulcinella, ma come sottolinea lui sorridendo “parlo solo di quei tre o quattro fatti che conosco”. 

Nessuno gli ha creduto, ma questa e’ un ‘altra storia.

Sergio Gilles Lacavalla – L’Avanti

A Zurigo ci sta la camorra. No a Scampìa: lì ci sta soltanto la manovalanza della camorra; tutt’al più una camorra da mˀorti di fame, oltre che di proiettili per qualche regolamento di conti. Nei bassi napoletani c’è la guerra della camorra (“È necessario che la carne da macello rimanga impantanata nelle periferie, schiattata mmiez ‘e grovigli di cemento e mondezza, din’t ‘e fabbriche a nero e nei magazzini di coca.

E che nessuno lo dica, che tutto sembri una faida tra bande, una guerra tra straccioni”), ma la sua ricchezza, il suo potere, dunque, sta a Zurigo come a Los Angeles. A Scampìa si agitano inutilmente disperati e poveracci, come Ernesto, la disgraziata vittima della camorra raccontata da un Pulcinella che, dai bombardamenti della guerra a oggi, ne ha viste di cose tremende. “È accaduto che questo mio amico, Ernesto – racconta Pulcinella – è morto. È morto sul lavoro per mano della camorra, ma con la camorra non aveva niente a che fare! Ernesto faticava din’t a ‘na bottega di telefonini e poi per arrotondare in un, come dite voi, call center. Lui e ‘a mugliera, Natalia, nu piezz ‘e femmena, non avevano ancora un bambino. Non era il momento giusto. Forse non ce stavano i denari e magari aspettavano a farlo perché speravano di poterlo crescere in un posto un po’ più tranquillo di Napoli, magari al Nord”. Però al Nord il povero Ernesto non c’arriverà mai. È accaduto che Ernesto è stato ammazzato in una città dove per campare devi arrangiarti con mille euro al mese per tredici ore al giorno e mezza domenica libera e tanta fantasia oppure fare il camorrista. O peggio ancora, va a finire che per vivere vai a morire di camorra. Perché a Napoli e nei suoi quartieri si muore ammazzati, come a le Vele (breve spiegazione delle Vele da parte di Pulcinella: “Grossi palazzoni grigi a forma di tende collegati da lunghi ballatoi nei quali ci abitano 80.000 persone. Due volte hanno dovuto far esplodere la dinamite per buttarne giù qualcuno. E’ già, perché la prima volta era rimasto in piedi. Quelli li costruiscono bene, a prova di bomba. Sulla base dei dati ufficiali è possibile costruire l’immagine di Scampìa come un’area periferica metropolitana di recente urbanizzazione, con una popolazione di ceto prevalentemente medio-basso, gravi problemi di scolarizzazione e disagio sociale, forte disoccupazione, bassa acculturazione, profilo professionale relativamente tradizionale con prevalenza di attività connesse ad un’economia statalista. A parte questo Scampìa è un modernissimo complesso residenziale costruito tutto tra gli splendidi anni ’60 e i decadenti anni ’80. Gli abitanti, i velisti, sono invidiati pure dai surfisti di Positano e vengono detti scantinatisti per la fortuna che hanno di villeggiare dentro a comodi e freschi scantinati arredati con l’essenziale. Come dite voi? Minimalisti. A Scampìa non ci stà niente, a parte gli scantinati, niente parchi, scuole, cinema, niente, sò quarant’anni che nun ce stà niente, è un quartiere dormitorio. Appunto, ma dico io, ‘a gente primma ‘e se ‘i addurmì ch’adda fà?”). Dicevamo, le Vele. Alla Vele, la gente prima di addormentarsi cosa fa? Fa tante cose, morendo tutta, in un modo o nell’altro, appunto di camorra. Ernesto è la vittima del piombo, tanti altri della miseria, della mondezza e tutti del “sistema”. Pulcinella scherzando disse la verità. E Pulcinella-Roberto Capaldo la dice questa verità, mascherandosi di volta in volta da maschera napoletana come da personaggi che animano questa triste realtà. Così Pulcinella prende la voce e i modi di figure che hanno nomi e cognomi reali: “Ernesto e sua moglie Rosalia, da una parte, i membri della famiglia Di Lauro, ma anche Raffaele Cutolo, dall’altra. Ogni riferimento a persone o fatti realmente esistiti, insomma, è puramente necessario”, come si legge nelle note allo spettacolo scritto e interpretato da Roberto Capaldo (Pulcinella) e con la regia di Fabrizio Di Stante, andato in scena al Teatro Labrys di Veroli. “Morra” è così un grande monologo interpretato con efficace bravura da Capaldo che, come in un lucido, sarcastico e realista racconto di cronaca nera, illustra questa terribile situazione napoletana dove tutto appare insensato e logico allo stesso tempo. Non ha senso la morte di Ernesto mentre se ne stava buono buono a lavorare al negozio di telefonini. Ma lui teneva una lontana parentela con un camorrista (“Se l’hanno sparato qualche motivo pure ci deve stare! Perché i camorristi saranno un poco cattivelli, ma quelli sò precisi, non sbagliano. Non c’è mai errore, ma punizione. Ve l’ho detto, io a Ernesto lo conoscevo bene. È morto sul lavoro e con la camorra non c’aveva niente a che fare. L’hanno sparato, o meglio l’hanno punito, solo perché uno dei soci del negozio dove lavorava aveva una lontana parentela con uno dei traditori del boss Paolo Di Lauro, Ciruzzo”), e allora, si può trovare un suo perché al fattaccio. È tutto così insensato e allo stesso tempo così spiegabile e logico. I numeri parlano chiaro: “La camorra ti paga 2.500 euro a omicidio e ti dà 400 euro a settimana per fare da palo tre o quattro ore al giorno. Puoi scegliere il lavoro che più ti piace: pusher, guardiaspalle, sentinella, prestanome, corriere e c’è anche la possibilità di fare carriera. Puoi diventare capozona e arrivare a guadagnare fino a ventimila euro al mese”. E perciò è comprensibile che davanti a 600 euro al mese, e se ti va bene ti fanno un contratto da 850, ma sempre 600 te ne danno e i privilegiati arrivano a 1.000 euro, ti dai alla camorra. La baracca di Ciruzzo frutta 500mila euro al giorno”. Le cose stanno così, lo dice Pulcinella che, sempre scherzando, disse la verità. E la verità è questa. Allora direte voi: “Ma dove stanno tutti ‘sti soldi se la gente a Scampìa, Secondigliano, Melito continua a morire di fame? Gira mezzo milione di euro al giorno per le strade napoletane ma la verità è che Ciruzzo, Cosimino, Mazzarella, ‘o chiatto, ‘a scignia, ‘o boia investono in aziende, negozi, ristoranti, alberghi che stanno in Canada, Australia, Gran Bretagna, Svizzera. Ciruzzo, Cosimino, Mazzarella, ‘o chiatto, ‘a scignia, ‘o boia sono finanzieri, manager, imprenditori, non sono guappi di quartiere e abitano Tenerife, Monaco, Varsavia! Ciruzzo, Cosimino, Mazzarella, ‘o chiatto, ‘a scignia, ‘o boia sono arrivati a investire in Cina dieci anni prima di Confindustria. La Cina è piena accussì di imprese della camorra napoletana! Uagliò se ci pensate bene hanno molto meno a che fare Scampìa e Secondigliano con la camorra che Pechino, Los Angeles e il Veneto. Ma è ‘ccà che scorre il sangue, è quà che saltano in aria i negozi e si ammazza una persona al giorno. È nel paese d’o sole che si tagliano le teste, che ti sparano in faccia e bruciano i cadaveri. È nel paese del mare, che si guarda e non altrove. È nella città di Pulcinella che ci hanno detto che stà il problema”. Tutto qui. Così semplice. Così terribile. E sarà sempre in questo modo fino al giorno “in cui la gente della Campania capirà che vale più un tozzo di pane libero che una bistecca da schiavi”.

Rossella Mungiello – Il cittadino (Vicenza)

La riflessione della poesia, la verità della filosofia, il fascino del mezzo teatrale. Un’opera che spiazza,sorprende e indigna, quella andata in scena sabato sera sul palco del Nebiolo di Tavazzano. Morra, il titolo della pièce denuncia, vincitrice del premio Paolo Borsellino 2008, scritta e interpretata da Roberto Capaldo, con la regia e la drammaturgia affidata a Fabrizio Di Stante e i ritmi percussivi di Simone Di Bartolomeo. È la tradizione partenopea a parlare, l’eterna maschera di Pulcinella dalle gestualità impeccabili, il dialetto perfetto, il ricorso ad un teatro di posa a stringere un patto con lo spettatore in prima battuta. La liturgia che si apre con il sipario è antica,ma il messaggio è nuovo e la tradizione si tinge di noir. Perché accanto alla Napoli delle canzoni, a quella descritta nei versi di Ruocco, De Filippo, Di

Giacomo, c’è una città sotterranea, una città in cui si muore ogni giorno, dove la dignità stessa degli uomini sembra soccombere sotto i colpi dei kalaschnikov, che sul palco sono le percussioni di Simone di Bartolomeo. Non credere al mondo costruito da una maschera è possibile; non credere ai luoghi che sul palco sono valigie è addirittura auspicabile; non credere al racconto di una civiltà in cui si muore non cedendo ai ricatti è preferibile. E se il Pulcinella narratore non ha la credibilità che deriva dall’esistenza nel mondo quotidiano, il ritratto di quel mondo è così vero da risultare disarmante. Ernesto, giovane lavoratore che per seicento euro lavora in un rivenditore di cellulari, è sposato da quattro mesi con la sua Natalia; un giovane amico di infanzia però, ha fatto strada. Peppino è capo zona e pretende rispetto. Ribellarsi, nella distesa di palazzi dormitorio che insieme compongono il «triangolo delle Bermude della cronaca nera napoletana, i quartieri Le vele, TerzoMondo e le “case dei puffi”, vuol dire finire in una buco rosso, «dove c’è talmente tanto sangue da non riuscire a credere che possa starci tutto in una persona sola».

Tre valige sul palco a disegnare la mappa ipotetica della morte e Pulcinella sceglie addirittura di utilizzare un burattino per muoversi tra quei luoghi e raccontare quei «due o tre fatti che conosce». Perché se «Pechino, Los Angeles e il Veneto hanno molto più a che fare con la camorra rispetto a Napoli», perché è lì che arriva il denaro da reinvestire, è qui che si continua a morire. E l’unico modo per non trovarsi mai a vivere il dialogo surreale che chiude la piéce, quello con «una vecchietta così a modo che sembra nonna», la morte, è chiudere gli occhi e non sentire. E se Cosimo di Lauro, figlio maggiore del boss Paolo di Lauro, quando è stato arrestato nel suo buco di 40metri ricavato in uno scantinato di Scampia, si è sistemato la chioma ricciuta ed è sceso dalle scale appoggiandosi alle forze dell’ordine per nascondere il suo handicap fisico alla gamba e sembrare un eroe, la risposta dei residenti è stata la rivolta contro lo Stato, «ma non per ostacolare l’arresto», quanto piuttosto «come enorme gesto di scuse verso il boss».

E la chiusura del bravissimo Capaldo è essenziale: l’urgenza è abbandonare il palco in fretta e furia, perché se lui è amico di Ernesto, per la proprietà transitiva anche lui rischia grosso, così come il pubblico, a cui il personaggio chiacchierone della tradizione ha raccontato tutto. Quasi a dire: Pulcinella cede alla paura, ma voi resistete.

Anita Miotto  – KULT underground n.149

“Sì, non avevo più speranza di salvarmi.” – dice la maschera vuota. Un faro di luce la illumina e al solo nominare dei bombardamenti della guerra il batterista incalza sempre più velocemente fino a quando… la storia di un Pulcinella ormai passato si interrompe: il “Signor Barone è ormai lontano”, l’attore si mette la maschera ed ecco che inizia una nuova storia, la storia di Ernesto: vittima di una Napoli corrotta, dove la xxmorra si gioca tutti i giorni e la giocano i più bari. Il racconto ricamato di lazzi e sberleffi è un’elegante ring composition (composizione ad anello) all’interno della quale una storia amara viene resa famigliare alle nostre orecchie dalle citazioni della stampa. L’attore: Roberto Capaldo, accompagnato da suggestivi ritmi percussivi di Simone Di Bartolomeo, si muove con precisione su ogni singola pulsazione ritmica, il movimento è diviso in gesti frammentari e pantomimici, tutto il corpo partecipa all’azione e segue linee precise di estensione.

Ma non è mai troppo scomposto, al contrario è armonico e partecipa pienamente ai movimenti tradizionali della maschera di cui si fa portatore: Pulcinella. Pirotecnico, snodato e disarticolato cade e si rialza, piroetta e salta ed esce anche da se stesso: Capaldo ci propone la sua immagina riflessa in altri e ancora altri personaggi senza mai compiacersi del suo essere attore, bensì lasciando che le drammatis personae siano al centro di ogni finzione e dell’immaginario dello spettacolo: a partire da Pulcinella, per passare al “Professore” (così detto Raffaele Cutolo, ideatore e firmatario del manifesto della Camorra) per finire con l’immagine più suggestiva di tutta la rappresentazione, quella della “Vecchierella” ovvero la cara è vecchia Morte… Questo personaggio, che ci viene presentato alla fine dello spettacolo quando Pulcinella lo incontra per la sua strada, è la rivelazione più sconvolgente perché sembra venire fuori da un mondo lontanissimo, una tradizione persa nei secoli: arriva nel profondo dell’immaginario psichico.

E per farlo Capaldo si è servito della solita maschera messa però sul capo coperto da una bandana nera. Muovendo la testa ci da l’impressione che la maschera sia viva, e grazie alla compostezza delle mani che descrivono però degli atteggiamenti fantastici, ricalcando movenze mimiche anti-naturalistiche, ci presenta una Morte con la testa incassata nelle spalle, le mani aperte a ventaglio di fianco le orecchie o – sempre a ventaglio – sopra un mobile o ancora snodatissime si intrecciano tra loro, costruendo un personaggio che va al di là dell’essere umano e che è caratterizzato da un antropomorfismo mostruoso e deforme. Mozzafiato. Ed è allora che l’attore conclude questo spettacolo-denuncia. Denuncia di associazioni a delinquere internazionali dure a morire e spietate nello spargere sangue a volte innocente, e denuncia dell’imprenditoria edilizia assecondata dal laissez faire corrotto dei politici di turno (Scampia è la località più nominata con i suoi “modernissimi complessi residenziali”: “Le Vele di Napoli”, “Le case dei Puffi”… e lì vicino la zona di Secondigliano). La scenografia è minima e descrittiva: esplicazione visiva delle parole di Pulcinella e in questo e non solo (per esempio anche nel disegno luci) la regia di Fabrizio Di Stante è coinvolgente e emozionante.Poi lo spettacolo finisce “e allora capisci che questa è una guerra e dove c’è guerra non c’è speranza”.