SPETTACOLO VINCITORE DEL PREMIO STORIE DI LAVORO 2011
Non dispiacerti di ciò che non hai potuto fare, ma di quello che potevi e non hai voluto fare
Mao Tze Dong
Just do it!
Campagna pubblicitaria Nike
Il caso non esiste
Anonimo cinese
Made in China è la storia tragicomica di due contadini che partono per cercare fortuna nelle fabbriche delle multinazionali occidentali. Una volta diventati operai in uno stbilimento della Nike, uno dei due, Zuo Jaobing, muore durante il turno di lavoro e l’altro, Chang Showei, percorre centinaia di chilometri con il cadavere dell’amico sulle spalle per riportarlo a casa. È l’usanza: un cinese dev’essere seppellito la dov’è nato, se vuole aver pace. È un rito che può sembrare macabro, ma è un atto di devozione per chi è legato alle tradizioni della campagna (non solo cinese). I due attraversano così lo sterminato Impero Economico della Cina del XXI secolo, andando contro le regole del mondo “civile”, compiendo involontariamente un atto eroico, guidati solo dalla propria morale … e dalle proprie “scarpe”, direbbe il manager, terzo personaggio di questa storia. Storia che viene fagocitata e strumentalizzata dal marketing, trasformandosi in un epico spot, tutto perfettamente in stile Nike. La falce dell’ormai preistorico simbolo del comunismo è infatti scalzata dallo Swosh dorato della Nike che, incrociato al martello, simboleggia l’odierno potere assoluto del mercato. Un intreccio di storie vere dunque, che passando dalla rivoluzione culturale di Mao alle condizioni dei lavoratori asiatici, arriva fino a noi per cui il Made in China è solo la targhetta sui prodotti che acquistiamo. Maschere, pupazzi, volti del Teatro d’Opera di Pechino, ventagli del Tai Chi, ritmi adrenalinici di pubblicita’ pluripremiate, il libretto rosso, ombre, luci, proiezioni, disegni animati, una TV rotta e una scarpa. Tutto ritrova origine e destinazione in questo onirico viaggio postmoderno che lega Oriente e Occidente, luoghi comuni e dettagli iperrealistici, tra gli slogan del “grande timoniere” Mao Tze Dong e quelli del grande manager Phil Knights, amministratore delegato della Nike.
di e con
Roberto Capaldo
collaborazione alla regia
Marco Ferrara
Fabrizio Di Stante
video e tecnica a cura di
Marco Ferrara
maschera in cuoio
Piero Ottusi
pupazzo
Antonio Catalano
consulente per la cultura cinese
Diang Zuanfheng
prodotto con il sostegno di
Casa degIi Alfieri
Rassegna stampa
Giovanna Crisafulli – La Repubblica
Dopo aver indagato la camorra con Morra, Roberto Capaldo torna con un nuovo monologo di teatro civile […] l’attore dipinge con lucidita’ ed ironia l’odissea e le contraddizioni di un popolo sospeso tra tradizione e modernizzazione forzata.
Motivazione del premio “Storie di Lavoro 2011”
Made in China è un monologo capace di raccontarci in modo non banale il presente senza dimenticare di essere a teatro e non ad un comizio, un tentativo di coniugare linguaggi diversi che merita attenzione . MADEINCHINA possiede un’energia legata ad un lavoro artistico maturato nell’arco del tempo fuori da manierismi modaioli, una struttura drammaturgica e scenica mobile con continui rimandi ad una rappresentazione che coniuga teatro di narrazione e d’attore, commedia dell’arte ed elementi oleografici del teatro tradizionale cinese e delle ombre, e che racconta una storia di sfruttamento apparentemente lontano ma che invece ha un chiaro riflesso sulle nostre esistenze.
Capaldo, con un’energia attoriale maturata nel suo percorso che va dal terzo teatro alla commedia dell’arte, un teatro spesso a contatto con il pubblico, porta in scena un monologo che, come pochi altri, riesce a restituire un linguaggio personale fuori dagli schemi, un monologo intenso e divertente, surreale e tragico. Una modalità di fare teatro che trae la forza da una reale necessità politica ed esistenziale, intima ma al contempo a stretto contatto col presente
Vincenzo Sardelli – KLP
Non dispiacerti di ciò che non hai potuto fare, ma di quello che potevi e non hai voluto fare» diceva Mao Tze Dong.
Non dispiacerti di ciò che non hai potuto fare, ma di quello che potevi e non hai voluto fare» diceva Mao Tze Dong.
Roberto Capaldo è uno che il Mao-pensiero lo prende alla lettera. E alla Cina che dalla Lunga Marcia alla Rivoluzione Culturale arriva ai nostri giorni, ha dedicato “Made in China”, spettacolo vincitore del bando “Storie di lavoro” 2011, acuto monologo che abbiamo visto a Zona K. […] “Made in China” è un ritratto impietoso del colosso asiatico. Dei suoi gialli, in tutti i sensi. E anche dei suoi scheletri. Lo spettacolo è la storia tragicomica di due contadini urbanizzati per cercare fortuna come operai nelle fabbriche delle multinazionali. Però uno muore, e l’altro percorre centinaia di chilometri con il cadavere dell’amico sulle spalle per riportarlo a casa. È l’usanza: un cinese dev’essere seppellito là dov’è nato, se vuole aver pace. È un rito che può sembrar macabro per la nuova società, ma è un atto di devozione per chi è legato alle tradizioni della campagna (non solo cinese).
In bilico fra tradizione e innovazione è anche questa farsa grottesca che contempera, in un tutto a volte un po’ grezzo ma piuttosto armonico, linguaggi e strumenti eterogenei: teatro d’ombre e commedia dell’arte, pupazzi e maschere napoletane, ventagli del Tai Chi e video, slogan comunisti e pubblicità della Nike. Tanti dati numerici. E tanti sproloqui. In un italiano dall’accento mandarino-partenopeo. Oppure in un cinese-grammelot inventato di sana pianta, reso credibile dai sopratitoli che scivolano come draghi sulle nostre teste.
Ci voleva un restyling balsamico per il flaccido obsoleto monologo civile e d’inchiesta. Capaldo, senza pretese, getta pietre nello stagno. Aiuta a riflettere sul miracolo economico asiatico del terzo millennio. E anche sui suoi costi, in termini di diritti e valori. Del resto la famigerata etichetta “Made in China” è ormai onnipresente, dalle calzature all’abbigliamento, dalla biancheria agli orologi, dalle tazzine di caffè ai giocattoli, fino alla ristorazione. Manca solo che sostituiamo lo yuan all’euro per pagare quei prodotti, mettendo mani al portafogli, anch’esso natutalmente Made in China.
Irriverente e caustico, Capaldo mette a nudo le contraddizioni di un Estremo Oriente tra comunismo e capitalismo, saluto alla bandiera e tecnologia low cost. I suoi personaggi hanno caratteri da commedia contemporanea. Sono capaci di parlare all’oggi. Come il suo teatro, reso dinamico dall’utilizzo della tecnica cinematografica del montaggio in parallelo o per quadri. Come i suoi soggetti. Che sono sì di denuncia (si pensi che neppure un duecentesimo del costo all’acquirente di una scarpa griffata va all’operaio che l’ha realizzata, che un paio di Nike vanno incollate in sei minuti e sei secondi, che il livello di deformazione di una mano indica da quanto tempo un operaio lavora in fabbrica). Ma lasciano spazio al dubbio. Ad esempio: è giusto boicottare la Nike perché un operaio asiatico guadagna solo due dollari al giorno, se quel salario è quattro volte quello di un contadino, e l’alternativa sarebbe la disperazione?
Informare, domandare, scuotere. Citare il “Libretto Rosso”, ma dar voce anche al top manager Phil Knights, amministratore delegato della Nike. Non osare risposte. Non imporre un punto di vista. Far riflettere. Usando una tecnica teatrale poliedrica, multicolore, ritmata, anche grazie a musiche che spaziano dall’alternative rock dei Gorillaz all’inno nazionale, dall’uso dell’altoparlante a una danza surreale. Tutto questo è “Made in China”.
Non è poco, se ci fate caso. Perché il monologo civile cui siamo assuefatti – leggio, microfono, luci fisse – assomiglia tanto a un sermone. È una sfilza di verità spesso autoreferenziali. Dove attore e pubblico se le cantano, se le suonano ed escono dalla sala soddisfatti. Con le stesse certezze, monolitiche, che avevano al botteghino.
Luca Zorloni – Il Giornale
Guardatevi l’etichetta del maglione, della sciarpa che vi ripara dai rigori novembrini, delle scarpe fresche di shopping. Controllate il marchio della tazza da cui state bevendo il caffè che accompagnate alla lettura del giornale, dell’orologio al polso, della matita con cui finirete il sudoku quotidiano. Quanto “Made in China” c’è nella vostra vita? Tanto, tutto, sostiene Roberto Capaldo, autore, regista e unico attore dello spettacolo in scena alla Torre dell’Acquedotto di viale Buffoli 17 (sabato 3 dicembre), che si intitola proprio come la famigerata targhetta: “Made in China”.
Il one man show si ispira alla storia vera di due contadini cinesi migrati in città per cercare fortuna come operai nelle fabbriche delle multinazionali: quando uno muore, l’altro decide di portarne a casa le spoglie, macinando chilometri e chilometri con un cadavere sulle spalle. A piedi, sul treno, in bus. La Cina si divide, tra la nuova società indignata dal macabro rito e le campagne che rivendicano l’antica tradizione. Nel mezzo c’è il paese industria, l’impero di mezzo che fabbrica il mondo, messo a nudo in tutte le sue contraddizioni (lo sapete quante tasse si devono pagare per mangiare un maiale?) da un monologo dinamico, irriverente e serratissimo, in cui Roberto da voce non solo ai due contadini, ma anche allo spettro del “grande timoniere” Mao Tze Dong e a Philip Knights, il ceo di Nike, presso cui la coppia di operai lavora.
Il one man show si ispira alla storia vera di due contadini cinesi migrati in città per cercare fortuna come operai nelle fabbriche delle multinazionali: quando uno muore, l’altro decide di portarne a casa le spoglie, macinando chilometri e chilometri con un cadavere sulle spalle. A piedi, sul treno, in bus. La Cina si divide, tra la nuova società indignata dal macabro rito e le campagne che rivendicano l’antica tradizione. Nel mezzo c’è il paese industria, l’impero di mezzo che fabbrica il mondo, messo a nudo in tutte le sue contraddizioni (lo sapete quante tasse si devono pagare per mangiare un maiale?) da un monologo dinamico, irriverente e serratissimo, in cui Roberto da voce non solo ai due contadini, ma anche allo spettro del “grande timoniere” Mao Tze Dong e a Philip Knights, il ceo di Nike, presso cui la coppia di operai lavora.
Maschere tradizionali, pupazzi, squarci del libretto rosso e videoproiezioni tra Youtube e Hollywood: sul palco della Torre si inseguono i ritmi adrenalinici del consumo globale “made in china”. Quello che Roberto, residente in Paolo Sarpi e dintorni, ha provato a evitare per un po’, “ma è difficilissimo, perché la Cina è ovunque, tutti vanno lì per produrre low cost anche se poi si lamentano che gli orientali fanno sempre più affari dell’Occidente”.
Lo spettacolo, che ha vinto il premio “Storie di lavoro 2011”, getta la maschera di un’economia mondiale ipocrita e facilona, incapace a dialogare con quel continente giallo in cui entrare nelle fila degli schiavi delle grandi fabbriche significa uscire dal vicolo cieco delle campagne, incapace soprattutto di portare, insieme alla valigie di soldi, quelle dei diritti civili. E smaschera anche le nostre prurigini con la Cina, quelle di tutti i giorni. “Dicono che cuciniamo i cani, i gatti, gli scarafaggi e i topi morti – recita Roberto alias Zuo -. Intanto la sera sono nei nostri ristoranti a mangiarsi riso, bambù, pollo e peperoni. Dopo stanno male ma stai sicuro che ritornano sempre. Perché?”. Per la risposta, stavolta, guardate al portafoglio. Rigorosamente “made in China”.
Lo spettacolo, che ha vinto il premio “Storie di lavoro 2011”, getta la maschera di un’economia mondiale ipocrita e facilona, incapace a dialogare con quel continente giallo in cui entrare nelle fila degli schiavi delle grandi fabbriche significa uscire dal vicolo cieco delle campagne, incapace soprattutto di portare, insieme alla valigie di soldi, quelle dei diritti civili. E smaschera anche le nostre prurigini con la Cina, quelle di tutti i giorni. “Dicono che cuciniamo i cani, i gatti, gli scarafaggi e i topi morti – recita Roberto alias Zuo -. Intanto la sera sono nei nostri ristoranti a mangiarsi riso, bambù, pollo e peperoni. Dopo stanno male ma stai sicuro che ritornano sempre. Perché?”. Per la risposta, stavolta, guardate al portafoglio. Rigorosamente “made in China”.